denuncia

Una nuova redazione: tutte donne, tutte gratis?


Riceviamo e pubblichiamo la segnalazione di una collega.
La lettera è firmata, il nome omesso per motivi di privacy. 

Sono un’archeologa, il che è tutto dire visto che a tratti esisto, a tratti rimango nascosta nelle molteplici definizioni che vengono date ai laureati della facoltà di Lettere e Filosofia. Ma prima di tutto sono una persona libera e pensante, e una donna.
Quando penso a me e alle mie scelte mi rendo conto di aver seguito una grande passione, noncurante di quanto mi dicevano le persone che incontravo lungo la strada. Ho sempre avuto in mente le parole del mio professore di Filosofia del liceo, che aveva compreso la mia sete di sapere e mi aveva incitata a mirare in alto, perché solo quelli che emergono a suon di voti, di impegno (non sempre sono la stessa cosa, ricordiamolo) e di intraprendenza hanno la possibilità di riuscire.

In questi ultimi mesi si sta parlando tanto di precarietà, di dare maggior possibilità ai giovani, di rispetto, che purtroppo sempre più spesso mancano.
In alcuni post trovati per caso in internet si fa riferimento sempre più spesso a grandi aziende che usano contratti al limite dello sfruttamento, di stipendi che spesso non arrivano, di vere e proprie truffe.
Anche a me è successa una cosa del genere, ma ciò che da’ il briciolo di assurdità in più a questa storia è che dalla parte degli sfruttatori ci sono ragazzi poco più grandi di me, che dovrebbero voler cambiare il sistema invece di cavalcarlo.

Tempo fa ho risposto ad un annuncio su internet: una rivista cercava articolisti per implementare lo staff. Di solito quando si tratta di un lavoro “a gratis” questo viene esplicitato nella proposta di lavoro, in questo caso ovviamente non vi era nessuna precisazione riguardo ad un possibile guadagno e dopo aver fatto passare più di un centinaio di annunci con la scritta “gratis” questo mi è davvero sembrato una ventata d’aria fresca. Ho subito contattato il referente inviando il CV ma mi è arrivata una risposta asettica nella quale venivo ringraziata per il mio interesse e mi si avvisava che i guadagni sarebbero arrivati dopo un mese dall’inizio dei lavori perché si trattava di una rivista ancora in crescita.

Vi confesso che all’inizio ho pensato di non rispondere nemmeno a questo messaggio perchè mi è suonato quasi come un inganno, poi però ho preso coraggio e ho chiesto specificatamente se il periodo che possiamo anche chiamare “di prova” sarebbe durato davvero un mese. Alla risposta affermativa ho deciso di tastare il terreno e vedere come sarebbe andata a finire.

Ho lavorato per questa rivista per più di un mese, scrivendo dai due ai quattro articoli al giorno (che quindi mi impegnavano per più di metà giornata) senza ricevere niente in cambio. Alcuni giorni, soprattutto durante il periodo prenatalizio, non ho potuto scrivere niente perché (meno male!) ho trovato dei lavoretti per guadagnare qualcosa.
Per alcuni articoli ho dovuto fare telefonate con il mio numero privato, ovviamente non mi è stato fornito alcun rimborso spese.

Alla scadenza del mese è stata organizzata una riunione per mettere insieme in una stanza tutto lo staff: la tematica soldi non è stata toccata e nonostante le mie velate allusioni, con mio grande dispiacere l’argomento non è stato affrontato.
Quello che ho visto, però, mi ha lasciata basita: oltre ai responsabili e ad un loro amico eravamo solo donne.
È perché tendiamo a fidarci di più?
Perché abbiamo così poca autostima che lavoriamo senza chiedere niente in cambio?
È perché siamo ormai parte del sistema?

La mia scelta è stata di abbandonare questo progetto, per mancanza di serietà e, soprattutto, per la presa di coscienza che ormai questo sistema malato, che si nutre di sfruttamento e annienta la fiducia, ha messo radici ovunque.

Ho deciso di scrivere questa breve testimonianza perché è giusto portare alla luce verità che rimangono nascoste, perché il fatto di trovarmi circondata da ragazze nella mia stessa situazione mi ha fatto montare una grande rabbia.
Dobbiamo trovare nel nostro piccolo il coraggio di emergere da questo mare di sfruttamento e inganno, di farci rispettare per quello che siamo, donne, lavoratrici
e, prima di tutto, persone oneste.

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Archeologhe che (r)esistono a Servizio Pubblico, di Michele Santoro


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Vietato infortunarsi sul cantiere: e l’archeologa diventa libraia.


Ci vuole coraggio a metterci la faccia.
A raccontare la propria storia dichiarando nome e cognome, senza paura di dare adito a patetismi. A denunciare con forza, invece di lamentarsi di nascosto.

Giovanna Vigna ha raccontato la sua verità con pacatezza, come di consueto, per un’inchiesta di Repubblica, Scaricati dall’articolo 8Claudia Pratelli ha spiegato cosa potrebbe cambiare nel mercato del lavoro e come potrebbero ridursi ulteriormente le tutele dei lavoratori con l’applicazione dell’articolo 8 della manovra-bis; Flavio Bini ha raccolto le storie di sei lavoratori precari.

Stando ore inginocchiata per terra mi sono rotta il menisco e mi sono dovuta pagare per intero le cure mediche. Mi sono trovata da sola“.
L’unica strada? Aprire una nuova attività e ricominciare da capo.

Trovate la video intervista di Giovanna qui.

E noi siamo orgogliose di essere sue amiche.

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Roma, 15 ottobre: la VERA manifestazione


Noi c’eravamo.

Assieme al comitato Il nostro tempo è adesso siamo scese in piazza
il 15 ottobre a Roma.

Un fiume di centinaia di migliaia di persone che chiede un cambiamento
e di partecipare attivamente ad esso.
Mentre i giornalisti correvano a documentare gli scontri noi continuavamo a sfilare,
consapevoli di ciò che accadeva attraverso Twitter e
ancor più determinati a mostrare la differenza tra noi e i barbari.

Sui giornali e in tv non vedrete le immagini dei partecipanti alla manifestazione,
perché la notizia è nel sangue.

Queste foto di Carlotta Bassoli sono il nostro punto di vista.
Perché si sappia ciò che è stato DAVVERO nel
grande corteo che ha attraversato Roma.

Perché niente offuscherà le nostre ragioni.

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Archeologhe a “Generazione sfruttata” di Riccardo Iacona


Tiziana, Margherita, Astrid, Teresa partecipano con Marcello e Walter
all’affresco di Riccardo Iacona sul precariato italiano.

Trovate qui il link alla trasmissione del 2 ottobre 2011.

Gli interventi sono in apertura di puntata e a partire dal minuto 0:17:38.

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Archeologhe che (r)esistono a Siena: l’intervento in piazza


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Sardegna, terra di archeologhe


C’è qualcosa di veramente strano nell’incontro di trenta donne provenienti da ogni parte d’Italia.
Soprattutto se queste donne non si conoscono: ignare ciascuna del volto dell’altra, ben consapevoli della forza delle idee che le unisce.
Margherita arriverà a Siena dalla Puglia; assieme a lei Laura e Tiziana, da Roma. Nessuna di loro ha mai visto Livia, che con un gruppo di amiche scende dal Trentino per fare la conoscenza di Giuseppina, approdata dalla Sardegna con Emanuela.
Proseguiremo il percorso intrapreso, per proporre in tutti i modi quel cambiamento radicale della società che si è ormai reso indispensabile.
Che deve partire da ciascuno di noi, non più spettatori passivi della realtà ma autori consapevoli del nostro destino…..

… continua su Il manifesto sardo

 

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Archeologhe che (r)esistono: le peggiori d’Italia il 9 e 10 luglio a Siena


Sulla mia carta d’identità alla voce “Professione” c’è scritto archeologa.
Lo stupore della funzionaria comunale che qualche anno fa raccolse la mia imbarazzante dichiarazione, ricordo bene, era palpabile. Cosa farà mai un’archeologa, si sarà chiesta la ligia impiegata statale mentre con occhi sbarrati mi guardava, sperando che ci ripensassi. Scava buche in aperta campagna o nel giardino della propria abitazione alla ricerca di monete e tesori nascosti? Organizza spedizioni esplorative nel Sud dell’America o traversate del deserto? Gira film d’avventura e fantascienza come Indiana Jones?
Eppure nulla di tutto questo rientra nella categoria concettuale, politicamente corretta, di mestiere regolarmente retribuito e come tale riconosciuto e apprezzato dai più.
Nulla che potesse realmente persuaderla dell’opportunità di assecondare, senza troppe storie, la mia ferma volontà.

Il mio sguardo risoluto e niente affatto intimorito credo sia bastato, tuttavia, a farla desistere dal muovermi ogni qualsivoglia obiezione e a convincerla a mettere per iscritto quanto dichiarato.
Come far capire, a lei e tanti altri, che il mio titolo è frutto di anni di studio appassionato, di sacrifici, di rinunce, di tasse pagate, di esperienza sul campo, di ricerca scientifica spesso condotta in condizioni estreme e improbabili, di estenuante precariato?
Tutte le volte che ho tentato di spiegare ai miei ignari interlocutori in cosa consista il mestiere di un archeologo, ciò che più mi ha sorpreso, a parte la disinformazione che spesso circola su questa professione, è stato avvertire minaccioso su di me, lo sguardo commiserevole di chi, pur apprezzando gli sforzi di quanti cercano di concretizzare i propri sogni infantili e pur affascinato dalla potenza di una tale passione, non si capacita che si possa o si presuma di vivere di sola archeologia.

Credo sia proprio questo atteggiamento disfattista, disincantato, surrealistico, superficiale che oggi autorizza persino un Ministro della Repubblica ad apostrofare i giovani precari come i “peggiori d’Italia”, senza minimamente preoccuparsi che ciò possa offendere, ancor prima della nostra plurititolata intelligenza, la nostra dignità.
Ed è sempre a causa di questa visione cieca e immorale della realtà odierna che milioni di giovani, che come me gravitano attorno al settore dei beni culturali, non riescono a trovare una benché minima garanzia per il loro futuro professionale, nonostante la laurea, la specializzazione, il dottorato di ricerca, lo studio delle lingue, le esperienze all’estero, la rabbia che li spinge a non mollare e ad andare avanti, se non per sé almeno per i propri figli, ammesso che decidano di metterli al mondo.

In Italia ci sono centinaia, forse migliaia di archeologi, molti dei quali donne.
Sono rimasta stupita anch’io dall’alta percentuale di operatrici dei beni culturali nel nostro Paese, quando, miracoli della moderna tecnologia, mi sono imbattuta, nella rete di facebook, tra le maglie di un gruppo che si chiama “Se non ora quando. Archeologhe che (r)esistono”.
Ad ingrossarne le fila, le quote rosa dell’archeologia italiana, donne abili e caparbie, che in silenzio e con tenacia, come solo le donne a volte sanno fare, stanno portando avanti una battaglia decisiva: difendere l’archeologia e la professionalità delle donne archeologhe in Italia.
Le paladine dell’archeologia italiana, mosse dall’indignazione ancor prima che dalla disperazione, si incontreranno a Siena il 9 e il 10 luglio prossimi, nell’ambito della manifestazione nazionale “Se non ora quando”, prossima tappa di un movimento, tutto al femminile, che dallo scorso 13 febbraio sta cambiando il corso della politica in Italia, sta facendo tremare le frange più maschiliste dell’establishment dominante e sta restituendo alle donne il ruolo di protagoniste attive che ad esse spetta nella società.
A Siena, anche le archeologhe diranno la loro, porteranno le loro storie di vita da cantiere, con la sveglia alle 7.30 di mattina, nessuna garanzia di lavorare per più di qualche settimana al mese, uno stipendio mensile di meno di 1000 euro, contratti a tempo, la ricerca confinata nel fine settimana o peggio di notte, pur di aggiungere qualche pubblicazione al proprio curriculum, i mille lavoretti sottopagati (lezioni private, correzione di bozze, visite guidate, call center) a cui ci si arrende per arrotondare e pesare il meno possibile sulle finanze della famiglia di origine e, perché no, pensare ad un progetto di vita che contempli una casa, dei figli… oltre al lavoro.

A Siena convergeranno anche quelle archeologhe stanche di resistere, che hanno appeso la trowel al chiodo e abbandonato le proprie aspirazioni tra i ruderi di qualche sito archeologico, che nessuno mai conoscerà perché, causa l’assenza di finanziamenti, è stato sepolto sotto la vegetazione o peggio distrutto.
Tutte assieme, unite dalla stessa passione e mosse dallo stesso sentimento di rabbia, le archeologhe italiane proveranno a spiegare, a chi si ostina a non capire, che ruolo esse abbiano nella società moderna e perché sia importante creare un organico ed efficiente mercato del lavoro, con diritti riconosciuti oltre che con doveri, che ruoti attorno alla difesa del patrimonio culturale.
Le archeologhe che (r)esistono il 9 e il 10 luglio, a Siena, tenteranno ancora una volta di smuovere le coscienze assopite di chi pensa che di cultura non si viva e che basti affossarla, mortificarla, offenderla per pareggiare i conti e salvare le sorti di una nazione. Probabilmente, tutto questo fermento non basterà a frenare la deriva culturale del Paese. Ma da qualche parte bisogna pur cominciare. Se non ora quando?
Intanto, penso che il prossimo anno dovrò rinnovare la mia carta d’identità.
Cosa dirò, alla funzionaria di turno, che mi chiederà quale professione esercito?

Il nostro progetto per Siena
Se non ora quando – blog ufficiale

 

Giovanna Baldasarre

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La peggiore d’Italia? Un’archeologa


Denunciamo da tempo le nostre condizioni lavorative sotto dimensionate,

i contratti al limite della dignità e i pagamenti che arrivano sempre troppo tardi.

Con l’avanzare del progetto creeremo una rassegna stampa dei nostri interventi e delle nostre denunce, passate e future.

Fino a quando non ce ne sarà più bisogno.

Ancora per oggi, però, condividiamo

Io, l’Italia peggiore, di Roberto Mania (R2 – la Repubblica, 20.06.2011)

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